mercoledì 7 maggio 2025
 
          

 

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L'utilizzo massiccio dei cellulari non comporta un 'probabile' rischio cancerogeno e, di conseguenza, non può configurarsi come un elemento di certezza probante per il riconoscimento di una malattia professionale. L'INAIL fa chiarezza dopo la sentenza 17438 della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso col quale l'Istituto ha contestato il diritto alla rendita per malattia professionale (con invalidità dell'80%) attribuito dalla Corte di Appello di Brescia a favore del manager che, per dodici anni, per cinque-sei ore al giorno, aveva usato il telefonino.

"La Suprema Corte non si è pronunciata sul merito della questione - né avrebbe potuto, considerata la natura del giudizio di legittimità - ma si è limitata a ritenere insindacabile la motivazione della sentenza impugnata - spiega Luigi La Peccerella, avvocato generale dell'INAIL.

La Corte di Cassazione non ha, infatti, espresso un giudizio sulla nocività dei cellulari, sicché la sua decisione non si traduce in un principio di carattere generale in ordine alla cancerogenicità delle onde elettromagnetiche. Questo significa che la Corte non ha inciso sulle evidenze scientifiche, che, allo stato, non consentono di ritenere le onde elettromagnetiche emanate dai dispositivi di telefonia mobile un 'probabile' elemento di rischio tumorale. Quella della Cassazione è una sentenza che ha deciso esclusivamente la fattispecie sottoposta al vaglio della Corte e, dunque, non contiene l'affermazione di un principio di carattere generale per quanto riguarda la cancerogenicità di queste apparecchiature". 

Per visionare la nota integrale pubblicata dall'INAIL cliccare qui.

 

Pubblicato in: Sicurezza
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